«Sull’accesso a Medicina si è sviluppato negli anni un dibattito squisitamente politico e anche ora si sta mettendo in campo una soluzione politica a un problema che è sostanzialmente tecnico e che andrebbe risolto valutando i flussi di entrata e di uscita dei professionisti nel mondo del lavoro. Per questo siamo molto critici nei confronti del testo base adottato dal Comitato ristretto della Commissione Istruzione del Senato».
Con queste parole il presidente dell’Ordine dei Medici chirurghi e Odontoiatri di Verona, Carlo Rugiu, commenta la riforma che prevede il superamento del numero chiuso a Medicina e che potrebbe entrare in vigore nel 2025.
«Il rischio concreto», spiega, «è quello di una nuova pletora medica molto simile a quella che si formò negli anni Ottanta, quando i laureati e specializzati, scontando l’effetto dell’iscrizione massiccia a Medicina che si era verificata nel decennio precedente, non ebbero la possibilità di trovare una sistemazione stabile negli ospedali, nelle cliniche e negli ambulatori del territorio se non dopo molti anni di gavetta e precariato».
Adesso, precisa Rugiu, lo scenario è invece molto diverso. «Ci stiamo infatti avvicinando lentamente a una situazione di equilibrio, derivante dall’aumento calcolato dei posti disponibili nei corsi di laurea di Medicina negli ultimi quattro anni, dall’aumento delle borse di specializzazione e dall’esaurirsi della gobba pensionistica. Il 2030, indicativamente, sarà l’anno in cui i nuovi specialisti andranno a colmare del tutto i vuoti lasciati negli anni precedenti. Dunque, eliminare ora il numero chiuso significa che fra dieci anni, il tempo necessario per formare un medico specialista, avremo prodotto tanti disoccupati, che faranno fatica a trovare adeguati sbocchi professionali».